Trent’anni fa lasciava questa terra don Pierluigi Murgioni, sacerdote bresciano fidei donum, missionario in Uruguay rinchiuso e torturato in carcere con la «sola colpa di avere proposto con la parola e con l’esempio il messaggio evangelico di pace e di giustizia». Negli anni ’70 nei paesi latinoamericani retti da una dittatura militare, predicare il Vangelo significava essere considerato un pericoloso sovversivo. Il Teatro Gavardo, grazie al libro di Anselmo Palini “Dalla mia cella posso vedere il mare” (Ave Edizioni) ed a lettere e documenti di Pino Murgioni, fratello di don Pierluigi, ripercorre la storia di un sacerdote che nel respiro del Concilio maturò la scelta sacerdotale con lo sguardo missionario sul mondo. Imprigionato e torturato, nei cinque anni trascorsi in carcere don Pierluigi fu un punto di riferimento per gli altri detenuti che ammirarono la sua coerenza, la sua forza nel resistere ai soprusi, la sua dignità. Il 9 ottobre 1977 fu espulso dall’Uruguay, grazie all’interessamento di Papa Paolo VI, del Governo italiano e della Chiesa bresciana. Don Murgioni tornò in Italia ancora più convinto del fatto che quella del Vangelo e della nonviolenza fosse l’unica strada da percorrere. Riprese a svolgere il proprio servizio nella diocesi di Brescia: a San Faustino, poi a Ghedi (dove poi per ricordare il suo operato fu costituita negli anni Duemila l’Opera don Murgioni, poi divenuta Cooperativa e ora confluita nella Casa della Misericordia, che riunisce una serie di realtà operanti nel campo del volontariato) ed infine a Gaino e Cecina. Negli ultimi mesi di vita si dedicò alla traduzione in italiano del Diario di Oscar Romero con la postfazione di padre David Maria Turoldo. Pierluigi Murgioni morì il 2 novembre 1993, a soli cinquantun anni.
"LA NOVITÀ È LA COSA PIÙ VECCHIA CHE CI SIA".
JACQUES PRÉVERT